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mercoledì 23 maggio 2012

Beppe Severgnini: La psicopatologia del semaforo


 
Dicono che siamo intelligenti. È vero. Il problema è che vogliamo esserlo a tempo pieno. Voi stranieri restate sconcertati dalle trovate a raffica, dalle girandole di fantasia, dalle esplosioni alternate di percettività e pignoleria: insomma,
dai fuochi d'artificio che partono dalla testa di noi italiani. Un inglese, invece, può essere stupito ogni ora, un americano ogni mezz'ora, un francese ogni quarto d'ora. Non ogni tre minuti:
altrimenti si spaventa.

Ecco perché, in Italia, le norme non vengono rispettate come in altri paesi: accettando una regola generale, ci sembra di far torto alla nostra intelligenza. Obbedire è banale, noi vogliamo ragionarci sopra. Vogliamo decidere se quella norma si applica al nostro caso particolare. Lì, in quel momento.
Guardate questo semaforo rosso. Sembra uguale a qualsiasi semaforo del mondo: in effetti, è un'invenzione italiana. Non è un ordine, come credono gli ingenui; e neppure un consiglio, come dicono i superficiali. È invece lo spunto per un ragionamento. Non si tratta quasi mai di una discussione sciocca. Inutile, magari. Sciocca, no.

Molti di noi guardano il semaforo, e il cervello non sente un'inibizione (Rosso! Stop. Non si passa). Sente, invece, uno
stimolo. Bene: che tipo di rosso sarà? Un rosso pedonale? Ma sono le sette del mattino, pedoni a quest'ora non ce ne sono.
Quel rosso, quindi, è un rosso discutibile, un rosso-nonproprio-
rosso: perciò, passiamo. Oppure è un rosso che regola un incrocio? Ma di che incrocio si tratta? Qui si vede bene chi
arriva, e non arriva nessuno. Quindi il rosso è un quasi-rosso,
un rosso relativo. Cosa facciamo? Ci pensiamo un po': poi passiamo.
E se invece fosse un rosso che regola un incrocio pericoloso (strade che s'intersecano, alta velocità, impossibile vedere chi arriva)? Che domanda: ci fermiamo, e aspettiamo il verde. A Firenze - ci andremo - esiste l'espressione «rosso pieno». «Rosso» è una formula burocratica. «Pieno» è il contributo personale.
Notate come le decisioni non siano avventate. Sono in vece frutto di un processo logico che, quasi sempre, si rivela corretto (quand'è sbagliato, arriva l'ambulanza)Questo è l'atteggiamento di fronte a qualsiasi norma: stradale, legale, fiscale, morale. Se si tratta di opportunismo, non nasce dall'egoismo, ma dall'orgoglio. Lo scultore Benvenuto Cellini, cinque secoli fa, si considerava «al di là della legge in quanto artista». La maggioranza di noi non arriva a questo punto, ma si attribuisce il diritto all'interpretazione autentica. Non accetta l'idea che un divieto sia un divieto, e un semaforo rosso sia un semaforo rosso. Pensa, invece: parliamone.

Da: La testa degli Italiani - Beppe Severgnini

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