Ogni giorno il postino deponeva qualche busta nelle
cassette degli inquilini; solo in quella di Marco–valdo non c'era mai niente,
perché nessuno gli scriveva mai, e se non fosse stato ogni tanto per
un'ingiunzione di pagamento della luce o del gas, la sua cassetta non sarebbe
servita proprio a niente.
– Papa, c'è posta! – grida Michelino.
– Ma va'! – risponde lui. – È la solita réclame!
In tutte le cassette delle lettere spiccava un foglio
ripiegato azzurro e giallo. Diceva che per fare una bella saponata il Blancasol
era il migliore dei prodotti; chi si presentava col foglietto azzurro e giallo,
ne avrebbe avuto un campioncino gratis.
Siccome questi fogli erano stretti e lunghi, alcuni
d'essi sporgevano fuori dall'imboccatura delle cassette; altri erano per terra
appallottolati o solo un po' sgualciti, perché molti inquilini aprendo
la cassetta usavano buttar subito via tutta la carta pubblicitaria che
l'ingombrava. Filippetto, Pietruccio e Michelino, un po' raccogliendoli da
terra, un po' sfilandoli dalle fessure, un po' addirittura pescandoli con un
fil di ferro, cominciarono a far collezione di buoni Blancasol.
– Ne ho più io!
– No, contali! Scommettiamo che sono io che ne ho di più!
La campagna pubblicitaria del Blancasol aveva battuto
tutto il quartiere, portone per portone. E portone per portone i fratellini si
diedero a battere il quartiere, incettando i buoni. Qualche portinaia li cacciò gridando: – Monelli! Cosa
venite a rubare? Io telefono alle guardie! – Qualche altra fu contenta che
facessero un po' di pulizia di tutta quella cartaccia che si depositava lì ogni
giorno.
Alla sera, le due povere stanze di Marcovaldo erano tutte
azzurre e gialle di foglietti del Biancasol; i bambini li contavano e
ricontavano e ammucchiavano in pacchetti come i cassieri delle banche con le
banconote.
– Papa, se ne abbiamo tanti, potremo mettere su una
lavanderia? – domandava Filippetto.
In quei giorni, il mondo della produzione di detersivi
era in grande agitazione. La campagna pubblicitaria del Blancasol aveva messo
in allarme le ditte concorrenti. Per il lancio dei loro prodotti, esse
distribuivano in tutte le cassette postali della città questi tagliandi che
davano diritto a campioni gratuiti sempre più grossi.
I bambini di Marcovaldo nei giorni seguenti ebbero un
gran daffare. Le cassette delle lettere ogni mattino fiorivano come alberi di
pesco a primavera: foglietti con disegni verdi rosa celeste arancione
promettevano candidi bucati a chi usava Spumador o Lavolux o Saponalba o
Limpialin. Per i ragazzi, le collezioni di tagliandi e buoni–omaggio
s'allargavano di sempre nuove classificazioni. Nello stesso tempo, s'allargava
il territorio della raccolta, estendendosi ai portoni d'altre strade.
Naturalmente, tali manovre non potevano passare
inosservate. I ragazzi del vicinato non tardarono a capire di che mai
andavano a caccia tutto il giorno Michelino e i fratelli, e immediatamente quei
foglietti, cui fin allora nessuno di loro aveva mai badato, diventarono un
ambito bottino. Ci fu un periodo di rivalità tra le varie bande di
monelli/ in cui la raccolta in una zona piuttosto che in un'altra fu motivo di
contese e scaramucce. Poi, in seguito a una serie di scambi e trattative, ci si
mise d'accordo: una sistemazione organizzata della caccia era più redditizia
d'un saccheggio disordinato. E la raccolta dei foglietti diventò tanto
metodica, che appena l'omino del Candofior o del Risciaquick passava a fare il
giro dei portoni, il suo percorso era spiato e pedinato passo per passo, ed il
materiale appena distribuito era subito requisito dai monelli.
A comandare le operazioni, si capisce, erano sempre
Filippetto, Pietruccio e Michelino, perché la prima idea l'avevano avuta loro.
Riuscirono perfino a convincere gli altri ragazzi che i tagliandi erano
patrimonio comune, e si doveva conservarli tutti insieme. – Come in una banca!
– precisò Pietruccio.
– Siamo padroni d'una lavanderia o d'una banca? – chiese
Michelino.
– Comunque sia, siamo milionarii
I ragazzi non dormivano più dall'eccitazione e
facevano progetti per il futuro:
– Basta che riscuotiamo tutti questi campioni e metteremo
insieme quantità immense di detersivo.
– Dove lo metteremo?
– Dobbiamo affittare un magazzino!
– Perché non un bastimento?
La pubblicità, come i fiori e i frutti, va a stagioni.
Dopo qualche settimana, la stagione dei detersivi finì; nelle cassette si
trovavano solo avvisi di callifughi.
– Ci mettiamo a raccogliere anche questi? – propose
qualcuno. Ma prevalse l'idea di dedicarsi subito alla riscossione delle
ricchezze accumulate in detersivi.
Si trattava d'andare nei negozi prescritti,
t a farsi dare un campione per ogni tagliando: ma questa
nuova fase del loro piano, in apparenza semplicissima, si rivelò molto più lunga e complicata della prima.
Le operazioni andavano condotte in ordine sparso: un ragazzo
per volta in un negozio per volta. Si potevano presentare anche tre o
quattro tagliandi insieme, purché di marche diverse, e se i commessi volevano
dare solo un campione d'una marca e nient'altro, bisognava dire: «La mia mamma
li vuoi provare tutti per vedere qual è meglio».
I Le cose si complicavano quando, come succedeva in molti
negozi, il campione gratis lo davano solo a chi faceva degli acquisti; mai le
mamme avevano visto i ragazzi tanto ansiosi d'andare a far commissioni
in drogheria.
Insomma, la trasformazione dei buoni in mercé andava per le lunghe e
richiedeva spese supplementari perché le commissioni con i soldi delle madri
erano poche e le drogherie da perlustrare erano molte. Per procurarsi dei fondi
non c'era altro mezzo che attaccare subito la terza fase del piano, cioè la
vendita del detersivo già riscosso.
Decisero d'andare a venderlo per le case, suonando i
campanelli. – Signora! Le interessa? Bucato
I perfetto! – e porgevano la scatola di Risciaquick o la bustina di Blancasol.
– Sì, sì, datemi, grazie, –
diceva qualcuna, e appena preso il campione, chiudeva loro la porta in faccia.
– Come? E pagare? – e tempestavano di pugni la porta.
– Pagare? Non è gratis? Andate via, monelli! Proprio in
quei giorni, infatti, stavano passando casa per casa incaricati delle varie marche a depositare
campioni gratis: era una nuova offensiva pubblicitaria intrapresa da tutto il
ramo detersivi, vista poco fruttuosa la campagna dei tagliandi omaggio.
Casa Marcovaldo sembrava il magazzino d'una drogheria,
piena com'era di prodotti Candofior, Limpialin, Lavolux; ma da tutta questa
quantità di mercé non c'era da tirar fuori neanche un soldo; era
roba che si regala, come l'acqua delle fontane.
Naturalmente, tra gli incaricati delle ditte non tardò a spargersi la voce che
certi ragazzi stavano facendo il loro stesso giro porta per porta, vendendo gli
stessi prodotti che loro pregavano d'accettare gratis. Nel mondo del commercio
sono frequenti le ondate di pessimismo: si cominciò a dire che mentre a loro
che li regalavano la gente rispondeva che non sapeva cosa farsene di detersivi,
da quelli che li facevano pagare, invece, li compravano. Si riunirono gli
uffici-studi delle varie ditte, furono consultati specialisti di «ricerca di
mercato»: la conclusione cui si giunse fu che una concorrenza così sleale
poteva esser fatta solo da ricettatori di mercé rubata. La polizia, dietro
regolare denuncia contro ignoti, cominciò a battere il quartiere in cerca dei
ladri e del nascondiglio della refurtiva.
Da un momento all'altro il detersivo diventò pericoloso come dinamite.
Marcovaldo si spaventò: – Non voglio più neanche un grammo di queste polverine
in casa mia! – Ma non si sapeva dove metterlo, in casa non lo voleva nessuno.
Fu deciso che i bambini andassero a buttarlo tutto in fiume.
Era prima dell'alba; sul ponte arrivò un carretto tirato da
Pietruccio e spinto dai suoi fratelli, carico di scatole di Saponalba e
Lavolux, poi un altro carretto uguale tirato da Uguccione, il figlio della
portinaia di fronte, e altri, altri ancora. In mezzo al ponte si fermarono,
lasciarono passare un ciclista che si voltava a curiosare, poi, – Via! –
Michelino cominciò il lancio delle scatole nel fiume.
– Stupido! Non vedi che galleggiano? – gridò Fi–lippetto. – Bisogna
rovesciare nel fiume la polvere, non la scatola!
E dalle scatole aperte una per una, calava soffice una
nuvola bianca, si posava sulla corrente che pareva l'assorbisse, ricompariva in
un pullulare di minute bollicine, poi sembrava andare a fondo. –Così va bene! – e i ragazzi
continuavano a scaricarne miriagrammi e miriagrammi.
– Attenzione, laggiù! – gridò Michelino, e indicò a valle.
Dopo il ponte c'era la rapida. Dove la corrente imboccava
la discesa, le bollicine non si vedevano più; tornavano a saltar fuori
più sotto, ma adesso erano diventate grosse bolle che si gonfiavano spingendosi
l'un l'altra dal basso, un'onda di saponata che s'alzava, s'ingigantiva, già
era alta quanto la rapida, una schiuma biancheggiante come la ciotola d'un
barbiere rimestata dal pennello. Pareva che tutte quelle polverine di marche
concorrenti si fossero messe di puntiglio a dar prova della loro effervescenza:
il fiume traboccava di saponata nelle banchine, e i pescatori, che alle prime
luci erano già con gli stivali a mollo, tiravano su le lenze e scappavano.
Per l'aria mattutina corse un filo di vento. Un grappolo
di bolle si staccò dalla superficie dell'acqua, e volava volava via
leggero. Era l'alba e le bolle si coloravano di rosa. I bambini le vedevano
passare alte sopra il loro capo e gridavano: – Oooo...
Le bolle volavano seguendo gli invisibili binari delle
correnti d'aria sulla città, imboccavano le vie all'altezza dei tetti,
sempre salvandosi dallo sfiorare spigoli e grondaie. Ora la compattezza del
grappolo s'era dissolta: le bolle una prima una poi erano volate per conto
loro, e tenendo ognuna una rotta diversa per altitudine e speditezza e
tracciato, vagavano a
mezz'aria. S'erano, si sarebbe detto, moltiplicate; anzi: era così davvero, perché il fiume
continuava a traboccare di schiuma come un bricco di latte al fuoco. E il
vento, il vento levava in alto bave e gale e cumuli che s'allungavano in
ghirlande iridate (i raggi del sole obliquo, scavalcati i tetti, avevano ormai
preso possesso della città e del fiume), e invadevano il cielo sopra i fili e
le antenne.
Ómbre scure d'operai
correvano alle fabbriche sui ciclomotori scoppiettanti e lo sciame
verdero-sazzurro librato su di loro li seguiva come se ognuno di loro si
tirasse dietro un grappolo di palloncini legati al manubrio con un lungo filo.
Fu da un tram che se ne accorsero: – Che guardino! Ehi,
che guardino! Cos'è che c'è là in cima? – II tramviere fermò e scese:
scesero tutti i passeggeri e si misero a guardare in cielo, si fermavano le
bici e i ciclomotori e le auto e i giornalai e i fornai e tutti i passanti
mattinieri e tra loro Marcovaldo che stava andando a lavorare, e tutti si
misero a naso in su seguendo il volo delle bolle di sapone.
– Non sarà una roba atomica? – chiese una vecchia, e
la paura corse nella gente, e chi vedeva una bolla scendergli addosso scappava
gridando: – È radioattiva!
Ma le bolle continuavano il loro sfarfallio, iridate e
fragili e leggere, che bastava un soffio, e piff ! non c'eran più; e presto nella gente
l'allarme si spense così come s'era acceso. – Macché radioattive! È sapone!
Bolle di sapone come quelle dei bambini! – e una frenetica allegria s'impadronì
di loro. – Guarda quella! E quella! E quella! – perché ne vedevano volare delle
enormi, di dimensioni incredibili, e allo sfiorarsi tra loro queste bolle si
fondevano, diventavano doppie e triple, e il cielo i tetti i grattacieli
attraverso queste cupole trasparenti apparivano di forme e colori che non
s'erano mai visti.
Dalle loro ciminiere, le fabbriche avevano cominciato a
buttar fuori fumo nero come ogni mattino. E gli sciami di bolle s'incontravano
con le nubi di fumo e il cielo era diviso tra correnti di fumo nero e correnti
di schiuma iridata, e in qualche mulinello di vento pareva che lottassero, e
per un momento, un momento solo, parve che la cima dei fumaioli fosse
conquistata dalle bolle, ma presto ci fu una tale mescolanza – tra il fumo che
imprigionava l'arcobaleno della schiuma e le sfere di saponata che
imprigionavano un velo di granelli di fuliggine –, da non capirci più niente. Finché a un certo
punto Marcovaldo cerca cerca nel cielo non riusciva a vedere più le bolle ma
solo fumo fumo fumo.
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